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Carlo Ozzella & Barbablues

“Il Lato Sbagliato Della Strada”

(Avakian Productions - 2013)

Sono trascorsi all’incirca due anni dalla pubblicazione di “Dove comincia la notte”, una ventata di aria fresca e pura nell’asfittico panorama del pop rock italiano dell’ultimo decennio, ed in questo lasso di tempo Ozzella e la sua band hanno “girato, visto gente, fatto cose” - non risparmiandosi soprattutto nelle esibizioni dal vivo - permettendo in tal modo al progetto Barbablues di continuare a godere di ampia visibilita', anche grazie al passaparola della rete, e ad alimentare la “macchina” dell’hype in vista dell’ultimazione di questa attesa “next big thing”.

Si noti innanzitutto, in occasione del “second coming”, il cambiamento della “denominazione sociale”: è inequivocabilmente rock d’autore quello messo in pista dal cantante, chitarrista e songwriter milanese, così Carlo Ozzella & Barbablues si ripresentano con un lavoro che accrescerà sicuramente la loro credibilità ed il loro seguito. Al di la' della lingua utilizzata in liriche efficaci e poco rassicuranti, “Il lato sbagliato della strada”, che si presenta in una confezione “deluxe” con una splendida copertina in bianco e nero di indiscutibile impatto, segna una decisa evoluzione rispetto al succitato disco d’esordio: strutture piu' elaborate, maggiore varieta' e cura dei suoni, senza pero' che questo comporti una minore, ruspante immediatezza, e tredici brani autografi di ottimo appeal, persuasivi in termini di melodie ed incisività ritmica, capaci di stupire anche in quanto a spessore, intensita' e forza espressiva, all’insegna di un’enfasi vitale e mai stucchevole.

Nessuna epifania stilistica, sia chiaro, che' appaiono sempre piuttosto evidenti i riferimenti del combo al roots americano ed al Boss del New Jersey, ne' tantomeno soluzioni rivoluzionarie, bensì la proposizione di un sound sapido e corposo nel quale le chitarre sanno essere all’occorrenza ruvide ed incisive e gli interventi di piano, sax e violino garantiscono un ulteriore policromo spettro di sfumature; un lavoro coeso e compatto, che partendo dal pop rock brioso e scintillante dell’incipit “La tua ultima occasione” giunge all’armonica struggente della splendida e degregoriana “Comunque vada”, posta emblematicamente in chiusura dell’opera, non registrando stanchezza alcuna, ne' cadute di tono.

A seguire il brano di apertura, ci imbattiamo in una vivace “Full Grace”, (Bruce che fa colazione con Crosby Stills and Nash), quindi, introdotto dal piano di Stewie Gilardoni, si materializza il gioiello dell’album, il masterpiece “Notturno” - una “Autunno” maggiormente compiuta - immerso in atmosfere oniriche e malinconiche, (“Ma quando torni a casa e accendi la luce sei solo tu e la tua tristezza leggera, la notte e' come un’occasione mancata, una promessa che non sembra vera”), in un fantastico crescendo con le tastiere in grande evidenza ed il sax di Claudio Lauria a puntellare all’occorrenza la voce del leader suggellando l’epico finale. Giu' il cappello!

Poi citazioni sparse per le inedite atmosfere rock blues di cui sono piacevolmente pregne le notturne “L’ombra” ed “Alla periferia della citta'”, (“Mentre la notte si perde nel sangue sull’autostrada qualche macchina va, ma c’e' ancora qualcuno che piange alla periferia della citta'”), per l’autobiografica “Through the storm”, per la consistente title track che assurgera' sicuramente ad inno per i losers, (“Rispetta il tuo sogno e ogni voce spezzata, c’e' un posto per tutti sul lato sbagliato della strada”), per la fantasmagorica “Al momento della resa”, profumata d’Irlanda ed impreziosita dal violino, (ancora Stewie!!), ma in generale e' il lavoro nella sua interezza che convince e si mantiene per l’intera durata su standard elevati.

Per quanto concerne il songwriting - come già menzionato - lo stesso si rivela di spessore: siamo in presenza di una sorta di concept incentrato su una crisi che investe soprattutto la sfera privata e che deriva principalmente dal disincanto; il “sogno americano” con le relative illusioni romantiche è evaporato da un pezzo, lasciando il posto a domande grandi ed ineludibili, la fuga vagheggiata in “Born to run” si è bruscamente arrestata, (“siamo nati per restare qui” ci avverte Ozzella in apertura), è un album che non credo sia errato definire neorealista con sequenze notturne in bianco e nero e fortemente contrastate.

Pur non mancando squarci e sprazzi di luce, si avverte una desolazione, a tratti latente, a tratti manifesta, che stringe il cuore in una morsa, ma che pure non chiude del tutto le porte alla speranza, lasciando spazio ad un epilogo consolatorio, (“Comunque vada siamo vivi stanotte e avremo il tempo per riuscire a capire, per dare un senso a tutte queste parole prima di sceglierci un posto e partire”), la disperazione non ha ancora preso il sopravvento, siamo più dalle parti di “Darkness on the edge of town” piuttosto che di “Nebraska”, sempre riferendoci alla “stella polare” del gruppo.

Per concludere, un’opera che trova un suo peculiare e convincente equilibrio e che rispetta pienamente le attese in essa riposte, senz’altro abbastanza per confidare che l’ensemble lombardo possa finalmente affermarsi su più vasta scala.

carlorock65

Intro Showcase

"World Music Studio"

17 Giugno 2011

“C’è ancora un po’ di polvere su questi stivali, ho camminato a lungo per la strada, il sole sta scendendo all’orizzonte e su di noi, domani sarà tutta un’altra storia...”

Ecco, il disco comincia così, con un tramonto. Ed una strada. Per noi quella strada è l’Autostrada A7, Milano - Genova, uscita Pavia Sud - Gropello Cairoli. Da lì poco dopo si arriva a Dorno, dove ci sono gli Avakian Recording Studios. Che poi sono casa di Max... Qui abbiamo registrato il nostro primo cd, che stasera siamo molto felici di presentarvi dal vivo.

È un bel traguardo per noi perché, dopo tutti questi anni passati insieme a suonare, ritrovarsi ancora oggi così euforici, così vivi, così innamorati di questa nostra passione significa davvero essere andati oltre, oltre il semplice hobby, oltre il passatempo occasionale. Significa aver costruito qualcosa, un piccolo monumento.

E ciò che lo tiene in piedi è una sola cosa: l’amicizia fraterna che da sempre ci lega e che si rafforza man mano che il tempo scorre. L’affetto che proviamo l’uno per l’altro, per le persone - fondamentali - che vivono accanto a noi, ha reso questa avventura musicale un magnifico viaggio spirituale, una carovana del Rock & Roll di cui è bellissimo sentirsi parte.

Ed è qui che questo e gli altri album che verranno possono cominciare ad esistere. Qui, tra canzoni che nascono e prendono forma, tra cene e bevute che ritemprano l’anima, tra prove, telefonate, concerti, chilometri, viaggi, regali, abbracci e preghiere di lunga vita alla band, proprio qui è dove comincia la notte. E comincia anche il sogno.

Signore e signori, i BARBABLUES!

Carlo

Barbablues

“Dove Comincia La Notte”

(Avakian Productions - 2011)

Dopo una lunga e tortuosa strada, snodatasi per più di due lustri fra scioglimenti, modifiche di formazione ed una costante e frenetica attività “on the road”, gratificata da ottimi riscontri nell’ambito del giro alternativo pavese/milanese, è giunto finalmente per i Barbablues il momento di provare a fare sul serio.

“Dove Comincia La Notte” è comunque assai più di un tentativo e non certo velleitario: si tratta invece di un lavoro di buona autorevolezza, che pur non vantando soluzioni musicalmente sorprendenti, evidenzia in ogni caso competenza, sensibilità e maturità superiori a quelle che si attenderebbero da una band di fatto all’esordio.

È sufficiente un rapido sguardo all’asciutta e suggestiva copertina, nella quale si intravede la “sacra” icona del “boss”, anno di grazia ’75, per svelare le reali intenzioni del sestetto di stanza a Dorno (PV), guidato dal ventinovenne cantante Carlo Ozzella, anche chitarrista/songwriter - già noto sulla scena per avere dato vita alla 57th Street Band - che onora il traguardo del primo album con sei episodi per un totale di poco meno di trenta minuti di durata, che costituiscono prova inequivocabile del valore del combo lombardo.

L’approccio alla materia è tendenzialmente pop, ma le qualità canore e di scrittura sono evidenti e l’aria che si respira, fra umori policromi e

arrangiamenti raffinati ma equilibrati, ha il sapore della freschezza.

Apre inevitabilmente le danze la title track, anthemico biglietto da visita del gruppo nelle esibizioni dal vivo, che parla il linguaggio di un pop-rock cristallino e di spessore, nel quale forma e sostanza vanno a braccetto, pervaso da un desiderio irrefrenabile di riscatto di matrice tipicamente springsteeniana (“...dove comincia la notte ricomincia anche il viaggio che ho lasciato a metà...”).

A seguire l’urgenza e l’esuberanza rock di “Averti accanto”; il pezzo scivola via che è un piacere, con ottimi contrappunti chitarristici, il pianoforte che si affaccia sinuoso ed il pregevole assolo del leader sulla Telecaster prima del gran finale.

Il gioiellino pop “Autunno (New York, Nov. 08)” fa da anticlimax, mostrando il lato più riflessivo e crepuscolare del gruppo (“...sembra che l’autunno rida insieme agli alberi/sta facendo buio e il freddo mi ha portato qua/una tazza tra le mani mi riscalderà...”). Grande brano comunque, atmosfera piacevolmente ipnotica ed evocativa, malinconie toccanti ma non opprimenti, melodia intrigante oltre che subito persuasiva, con il sax di Marco Mazzola in agguato nel finale.

Un’armonica di stampo prettamente dylaniano apre e chiude l’unico brano non cantato in italiano, “Beauty is truth”, nel quale il “menestrello di Duluth” incontra Springsteen a cena con i Green On Red, mentre ne “Il fiume dei miracoli” torna un’immagine cara alla letteratura americana (Mark Twain) ed una delle più vecchie metafore sulla vita, nella quale il fiume racchiude i paradossi dell’esistenza riflettendoli in una musica a luci ed ombre. Nel nostro caso più luci che ombre, in quanto il brano, un R&B dall’indole solare con i fiati in evidenza, è il più gioioso dell’album.

Chiude questo ottimo esordio “A due passi da me”, soffice ballata romantica contraddistinta da una chitarra a tratti knopfleriana.

Anima e talento insomma, unitamente a perizia, grinta e verve sono sempre presenti in “Dove Comincia La Notte”, e contribuiscono non poco alla generale riuscita del lavoro, fornendo un’indicazione molto interessante per promettenti sviluppi futuri ancora più coinvolgenti.

Segnaliamo inoltre l’uscita a breve di un “live” registrato durante le torride esibizioni dei nostri al “Babau” di Paderno Dugnano (MI), in grado di catturare l’energia sprigionata dai ragazzi sul palco che è potente ed assai contagiosa, come ben sa chi ha avuto la fortuna di assistere alle loro performance.

Sentiremo quindi ancora parlare molto presto dei Barbablues!

carlorock65

"I live"

Come è noto uno dei principali motivi per cui si suona in un gruppo è quello di fare dei concerti dal vivo. E in questo senso i BARBABLUES di live ne hanno fatti parecchi. Alcuni tuttavia vanno ricordati più di altri...

Live @ “Valhalla’s Pub” - Frugarolo (AL)

Tramite un’amica comune veniamo in contatto con il proprietario di questo locale in provincia di Alessandria. Alla prima telefonata lui esordisce secco: “Noi facciamo suonare solo tribute band”. Noi, pronti: “Nessun problema, noi siamo una tribute band di Bruce Springsteen”! E così la data è fissata. Dopo un po’ di prove per mettere su una scaletta adeguata arriva il giorno del concerto. Non proprio sicuri delle reali distanze e sprovvisti ai tempi di navigatore optiamo per una partenza strategica alle 10 del mattino, in modo da fare le cose con calma. Alle 11:10 siamo già a Frugarolo. Il concerto è previsto per le 22:30. Restano da coprire “solo” più di 11 ore. Per il pranzo troviamo un ristorante napoletano che fa pesce (ndr: il mare dista circa 100km da Frugarolo...) e lì passiamo alcune ore mangiando il suddetto pesce e bevendo del discreto Gavi. Alle 16:30 arriviamo al locale: chiuso. Poiché si suona all’aperto e il palco è già montato cominciamo a tirar fuori i nostri strumenti e a disporli. Carlo intanto estrae dalla macchina una borsa termica piena di birra e complice il caldo (siamo al 20 di luglio) cominciamo a bere. Una vecchietta che abita nella villetta accanto al locale mette fuori la testa e ci dice che il pub aprirà alle 20:00 ma che se ci serve la corrente ci può pensare lei. E così tira 20 metri di prolunga che da casa sua arrivano diretti sul palco. A quel punto noi siamo pronti e per ingannare il tempo eseguiamo il più lungo soundcheck mai effettuato dal dopoguerra ad oggi, circa 3 ore e mezza. Finalmente arriva il tizio del locale e trepidanti attendiamo le 22:30. Fino alle 22:29 non si vede anima viva, ci siamo noi, il gestore del locale e la vicina. Finché improvvisamente non si materializzano alcuni sub-umani che si siedono a guardarci inespressivi. Ci siamo, si comincia. Parte la prima canzone, finisce, Carlo si gira e ci comunica che non ha più voce! Ma siccome siamo dei grandi improvvisatori ripariamo cantando una strofa a testa di qualsiasi canzone. Eseguiamo a due voci una “The River” da brivido, nel senso letterale del termine: sull’intro di armonica la stessa si rompe producendo lo stesso delicato suono del vetro sui denti... Ad un tratto Andrea mette giù il basso e comunica senza farne mistero alcuno che ha raggiunto il limite e deve andare a pisciare, lasciando noi e il pubblico attoniti. L’espressione coniata da Max per descrivere il pubblico di quella sera è rimasta nella storia: ci guardavano come le mucche che guardano il treno passare. Portiamo a termine la serata, ci pagano anche e ripartiamo verso casa. Lo spazio-tempo però a quel punto si dilata e il ritorno è meno fortunato dell’andata: arriviamo verso le 04:30 del mattino, dopo aver vagato per ore nel nulla della Bassa alessandrina.

Live @ “Akuna Matata” - Milano & Other Nights

Il periodo tra il 2001 e il 2004 è costellato da diversi concerti tenuti a Milano e dintorni. L’obiettivo dichiarato dalla band è avere un fisso nei locali in cui suoniamo, un concerto ogni mese o due. La strategia promozionale è altrettanto chiara: proporsi per una serata di prova gratis e, se apprezzati, proporre al gestore del locale il fisso. Dopo la prima serata di prova, a giudizio nostro e degli amici presenti andate tutte più che discretamente, con la baldanza di chi sa che tutto va a gonfie vele e che il fisso è ormai una certezza, ci rechiamo nuovamente al locale per definire l’accordo ma... c’è qualcosa di nuovo in questo locale... non mi ricordavo queste palme, non avevo fatto caso al look caraibico... vabbè, poco male... Sicuri come solo chi fa rock and roll sa essere ci dirigiamo verso il gestore. Sfoggiamo un sorriso ammiccante del tipo “Visto che serata che ti abbiamo tirato fuori?” e... il vuoto nei suoi occhi! Retrocede, balbetta e infine l’amara sentenza: “Abbiamo cambiato genere, ora facciamo solo latino-americano”! E’ successo in almeno 3 o 4 occasioni.

Live @ “Lumiere 21” - Desio (MI)

Stesso racconto di cui sopra ma chiosa diversa. Sfoggiamo un sorriso ammiccante del tipo “Visto che serata che ti abbiamo tirato fuori?” e... il vuoto nei suoi occhi! Retrocede, balbetta e infine l’amara sentenza: “Siamo falliti”!

Il live nella Scuola di Danza - Milano

Sempre alla ricerca di nuove occasioni per suonare, decidiamo su richiesta di un amico di accettare una serata dedicata all’inaugurazione di un concessionario auto. Sopra il salone c’è una scuola di danza, la festa si tiene lì. Il posto è abbastanza gradevole ma a volte da alcuni segni si può già intuire se un concerto andrà bene o no... Primo indizio: tutte le convenute sono attempate signore con gonnelline plissettate e canottiere di lamè. Secondo indizio: la suddivisione tra convenuti e convenute rasenta la media statistica assoluta del 50% tra maschi e femmine. Ultimo e più importante indizio, al momento di iniziare il proprietario della scuola se ne esce con le testuali parole: “Ed ora lasciamo spazio a questo simpatico complessino”. Partiamo, “One... Two... Three... Four!” e via con un bel pezzo rock and roll. Reazione: leggiamo chiaramente negli occhi dei presenti sconcerto, sconforto e in ultimo rassegnazione... Stanno tutti pensando: “Peccato, questi non fanno liscio... e nemmeno latino-americano...”

Live @ “Maggio Musicale Bollatese” - Bollate (MI)

Come tutte le band emergenti ci cimentiamo anche in alcuni contest tra gruppi e approdiamo alla rassegna “Maggio Musicale Bollatese”. La location è carina, un anfiteatro al centro di un parco, c’è un bel palco già apparecchiato e non manca il classico presentatore con valletta al seguito. Ci viene richiesto di preparare una presentazione del gruppo che verrà letta prima del nostro set. Con la consueta creatività ci mettiamo al lavoro e parafrasando il mitico “From Los Angeles, California, ladies and gentlemen, the Doors!” facciamo una presentazione ironica di ciascun componente del tipo “From Bollangeles... from Corsico City...” e trasmettiamo il tutto via mail all’organizzazione. Il pomeriggio del concerto siamo carichi, suoniamo dopo una tribute band di Vasco, si accende in noi un grande spirito competitivo. Possiamo polverizzarli e poi abbiamo una grande presentazione che scuoterà il pubblico presente. Arriva il nostro turno, scendiamo nell’arena e... l’arena è vuota! Ci sono solo due o tre bambini che ballano anche se non stiamo suonando e in lontananza, sull’ultima gradinata dell’anfiteatro, un semicerchio di persone mute. Ma noi non ci lasciamo impressionare, siamo in grado di smuovere anche il pubblico più difficile e poi non dimentichiamolo, abbiamo la presentazione che ci aiuterà a rompere il ghiaccio. Il presentatore inizia la sua introduzione facendo il simpaticone con la valletta. Questa dimostra di avere l’umorismo e la simpatia di un forno fusorio... Inutile ricordare la fluidità con cui partono a snocciolare tutti i nostri nomi, fino a quello del batterista. All’anagrafe risponde al nome di Massimo Miglietta ma per un curioso gioco del correttore automatico di Word, Miglietta si trasforma in Maglietta e come tale viene presentato, smorzando definitivamente i nostri ardori da rockstars!

Abbiamo partecipato anche l’anno successivo e forti della precedente esperienza ci siamo raccomandati che i nomi fossero corretti. Ovviamente anche l’anno successivo Massimo Maglietta ha suonato la batteria per i Barbablues...

Live @ “Sagra del Pesce e del Cortese” - Gavazzana (AL)

Per una band suonare fuori dai confini della propria città è un’esperienza unica. E’ come essere in tour, vera vita rock and roll. Questo è il motivo per cui accettiamo volentieri di suonare in questo ridente borgo vicino a Tortona. Memori delle passate esperienze e avendo finalmente tutti quanti un navigatore partiamo con calma, nel primo pomeriggio e dopo un’ora circa arriviamo a destinazione. E’ un pomeriggio torrido d’estate ma siccome quando sei in tour sei in tour, io e Carlo indossiamo comunque i nostri stivali Harley Davidson e i jeans belli aderenti. Prima di andare a montare la nostra strumentazione veniamo ospitati per un aperitivo dagli ignari genitori dell’amico che ci ha proposto la serata. Ignari nel senso che i poverini non sanno che è a tavola che i Barbablues sono capaci delle più grandi performance! C’è una bella tavola apparecchiata nel giardino di casa, all’ombra di un grande albero. Ci accomodiamo. La mamma del nostro amico sfodera timida un paio di vassoi di affettati, il papà apre una bottiglia di vino prodotto da lui. Alla fine trascorriamo lì circa un’ora... Praticamente hanno dovuto uccidere un altro maiale e il consumo locale pro-capite di vino ha subito un’impennata percentuale degna delle bolle speculative della New Economy... Ci accomiatiamo e loro gentili ci salutano con un “Tornate pure quando volete...” Salito in macchina e lasciato il vialetto che ci riporta sulla strada principale ho guardato nello specchietto retrovisore, mi è sembrato che stessero già ostruendo il vialetto con dei cavalli di Frisia... Ritorniamo in paese e con la consueta calma cominciamo a montare i nostri strumenti. Cominciamo bene: Max ha dimenticato il charleston della sua batteria... Non è grave, è semplicemente come se un auto di Formula 1 avesse solo tre ruote, come se andando in vacanza con un bambino piccolo uno portasse via tutta la casa ma dimenticasse il lettino da campeggio... La famosa teoria degli indizi che predicono l’esito della serata... Non ci lasciamo scoraggiare, chiediamo in giro, ne recuperiamo uno. La festa di cui siamo ospiti è una sagra del pesce, il che ci spiazza un po’: devono essere reminiscenze di altre ere geologiche, quando il mare bagnava la zona... Ma dopo l’esperienza di Frugarolo, che non dista molto da lì, ci rassereniamo e andiamo avanti a montare. Il secondo indizio che si presenta è che gli organizzatori cominciano a disporre file e file di sedie davanti al palco, come se ci dovesse essere il concerto di un pianista classico... ma non ci lasciamo intimidire. Il terzo indizio è un gruppo di attempate vecchine che continuano a chiederci che valzer conosciamo. Il quarto ed ultimo (e da questo si doveva capire che la serata sarebbe stata tragica!) sono una serie di personaggi che continuano ad opzionarci per analoghe manifestazioni nell’immediato futuro, chiedendoci numeri di cellulare, contatti, informazioni sul cachet... Cominciamo a suonare e il nostro pubblico “scaligero” viene colto da paresi, nessuno si muove, solo i soliti tre bambini davanti al palco. La tensione sale, dobbiamo fare qualcosa! Commettiamo errori nei pezzi, io eseguo un assolo su una canzone di Ligabue che scatena gli ululati di tutti i cani della zona, manco fossi il Pifferaio Magico... A questo punto Carlo regala ai presenti una di quelle frasi che rimarranno per sempre scolpite nella memoria, come il “Campioni del mondo!” urlato per tre volte da Nando Martellini dopo la finale di Spagna ’82, come il “SI... PUO’... FARE!” del protagonista in “Frankenstein Junior”. Non basta leggerla, bisogna ascoltarla... (clicca QUI) Da notare cosa accade dal secondo 00:25 fino alla fine del pezzo... Risata accattivante/isterica del nostro cantante per stemperare l’atmosfera e, come reazione del pubblico, silenzio e gelo come solo in Siberia si riscontrano! Infine un “Andiamo”... Non abbiamo mai capito se sia stato un invito a partire con la canzone o a fare ritorno a casa prima che una falange macedone di indomiti vecchietti desse l’assalto al palco... Poi arriva il pezzo riempi pista, “Sweet Home Alabama”: qui ci sentiamo sicuri, la gente conosce il pezzo, dai che ci risolleviamo... Carlo vuole far cantare i presenti e allunga il microfono verso di loro, ma invece che sulla frase che tutti conoscono e cioè “Sweet home Alabama” sul secondo pezzo del ritornello, che recita “Where the skies are so blue”, che nessuno conosce! Parte il primo invito... nessuna risposta, il secondo... nessuna risposta... A quel punto Carlo affronta la situazione di petto, scende dal palco, si avvicina ad un paio di tizi visibilmente ubriachi e urla nel microfono “Sweet home Alabama”, porge loro il microfono e quelli: “WOWOWOWO!” Terminiamo il concerto nell’immobilismo dei piemontesi, raccogliamo le nostre carabattole e ritorniamo a casa. Deve però essere successo qualcosa... Tutti quelli a cui avevamo lasciato i nostri numeri di telefono per le serate a venire, devono aver perso, tutti quanti, il nostro bigliettino... e infatti non ci ha mai più richiamato nessuno. Mah...

Infine... gli altri live!

Beh, poi ci sono quelli epici, quelli dove suoni alla grande, quelli dove la gente balla, ti chiede di suonarne ancora una e un’altra ancora, quelli dove la ex fidanzata del cantante se ne va in lacrime quando lo vede splendido sul palco, quelli dove ci sono degli stranieri completamente ubriachi a cantare tutte le canzoni, quelli dove tua moglie sta per partorire ma tu ci vai lo stesso, quelli dove tuo figlio ha più di 40 di febbre e tu ci vai lo stesso... quelli dove suonano i BARBABLUES.

Fede

"Non solo una band"

Tutto ha inizio nel 1999 con un “Chitarrista genere Rolling Stones cerca elementi per formare gruppo. Telefonare Stefano”. Poi la telefonata, culminata con un “Ho un amico alla Sony che ci farebbe fare un disco”... Infine l’incontro. Sala prove nella casa di una signora, presenti Fede, Max e Stefano. Parlottano un po’, accennano qualche pezzo e... l’avventura comincia. C’è da trovare basso e voce, si continua con le inserzioni su Secondamano, visto che internet ancora non esiste, se non alla NASA. Risponde RRRosario, omone siciliano che suona il basso e fa l’infermiere e che ama il RRRock e i RRRitornelli... Sembra un serial killer ma decidono che va bene! A questo punto manca il cantante e ne provano diversi: Tommy l’urlatore, un altro che si agita come un tarantolato, poi il figlio di Elvis, che arriva con la sua moto custom e un microfono anni ’50 con relativa acconciatura a banana in testa... non esattamente quello che cercano!

E poi... Una notte, nella nebbia, appare un motorino, guidato da un ragazzino che sembra non avere neanche l’età per guidarlo. Nel suo zainetto, come fosse Excalibur, spunta il manico della sua chitarra. Fede chiede a freddo: “Chi ti piace?” E lui, secco: “Bruce Springsteen”. Ok, provino superato e cantante trovato.

Poi seguono vari cambi di line up: Rosario dice che ha troppi impegni e molla, arriva Andrea, chitarrista prestato al basso che ha la caratteristica di ignorare totalmente i tempi di domanda/risposta nelle telefonate che di conseguenza si trasformano sempre o in lunghi silenzi o in due che si parlano addosso.

Passa qualche anno, i BLUESTEPS (questo il nome iniziale del gruppo) cominciano a fare qualche live e si accorgono che la band si sta trasformando in qualcosa di più. Passa ancora qualche tempo e nel 2001 si uniscono alla carovana una corista, Miriana, e un sassofonista, Marco “Thunder” Mazzola, che ha da poco iniziato a suonare ma che è assolutamente nello spirito della band e che dopo poco conia anche il nuovo, definitivo nome del gruppo: BARBABLUES! Viene registrato un demo, continuano i live e i ragazzi cominciano a frequentarsi sempre più assiduamente, anche al di fuori della sala prove, tendenzialmente a casa di Fede, dove la sua dolce metà dà ristoro a tutti quanti.

Poi si verificano tre abbandoni a stretto giro: Stefano, diventato padre nel frattempo di due gemelli, molla, non senza qualche polemica; Miriana nella sua ricerca di sé stessa lascia anche lei; ed infine anche Andrea decide che sei corde sono meglio di quattro e si lancia da chitarrista in una nuova avventura. Bisogna ricominciare da capo.

Dopo essersi guardati in faccia i quattro decidono che non si può lasciare andare le cose così: Max addirittura ha rinunciato ad un’opportunità di lavoro in Belgio mettendo tra le tante ragioni per non andare anche l’amore per questa band. Si tenta una nuova formazione con Alessandro e Davide, gli AREA 51, pensionando per un momento i BARBABLUES e... anche Marco molla o meglio, si prende un periodo di aspettativa. Il colpo è duro ma ad un amico si concede tutto e quindi ok, si va avanti lo stesso. Questa nuova formazione però non convince e dopo qualche concerto si decide di farla terminare.

A questo punto sono rimasti Carlo, Max e Fede. E’ il 2004 e i tre ormai sono più che semplici compagni di band: sono grandi amici e il suonare è diventata praticamente una scusa per vedersi tutte le settimane facendo qualcosa di divertente. Insomma, non si può lasciare andare tutto... i ragazzi ci tengono e molto.

E poi, come spesso capita quando le cose vanno male e non sembra esserci via d’uscita, succede qualcosa che non ci si aspetta. Un collega di Federico, Andrea, gli confida di essere un bassista... E’ un tipo forte, romano, cazzaro in perfetto stile BARBABLUES. Marco intanto ha ritrovato sé stesso, una laurea e un nuovo sax e così... ritorna!

E’ quasi fatta, la Fenice sta per risorgere ma... manca ancora un pezzo. Il tassello mancante è Stewie, giovane e virtuoso pianista che dopo aver suonato con Carlo in un’altra formazione senza battere ciglio decide di suonare con i BARBABLUES. A questo punto il miracolo è fatto. La “BBBanda” - come direbbe John Belushi - (ri)vede la luce.

Il resto è storia recente: concerti, prove, cene, vacanze, grigliate, matrimoni, figli, nuove canzoni, il primo album (Dove comincia la notte), poi il secondo (Il lato sbagliato della strada)... Nel 2015 un nuovo cambio di lineup porta Roberto "Cooper" a sostituire Andrea al basso. Lo spirito c'è, la bravura pure e il viaggio continua. Un susseguirsi di moltissime gioie, qualche dolore, tantissimo divertimento.

Sono passati più di quindici anni dagli albori della band, gli amici sono diventati fratelli, una famiglia. Perché i BARBABLUES non sono solo una band.

Fede

"I cantanti"

Il primo era probabilmente figlio di Elvis: lo ricordo arrivare sulla sua Harley tutta cromata, togliersi il casco, ravvivare il ciuffo perfettamente in stile e poi, una volta in sala, montare il suo microfono rigorosamente anni ’50... Era bravo, forse anche troppo per noi, ma non c’entrava nulla coi Rolling Stones.

Poi venne uno che diceva di saper anche suonare la chitarra. Arriva, si siede (e già qui...) e abbraccia la sua chitarra classica con corde di nylon con una perfetta postura da flamenco! Urlava come un forsennato e soprattutto batteva per terra il piede a ritmo con una violenza micidiale. Ricordo di non essere mai riuscito a trattenermi dal ridere nei mesi successivi ogni volta che visualizzavo la scena.

Non ci perdemmo d’animo e continuammo a cercare. Arrivò Christian, sardo di nascita ma a Milano per studiare canto. Le premesse erano buone, aveva anche una bella presenza e dei bei capelli ricci. Alla domanda “Che pezzi conosci?” ci dice di essere un fan di Van Morrison e di Vasco. Iniziamo con un pezzo straziante. Christian ha una voce incredibile, peccato però che non ci sia verso di farlo stare a tempo. Durante ogni pezzo parte per la tangente e ciao. Nulla di fatto. Ricominciamo.

Salta fuori Tommy e ci convince. E’ bravo, simpatico e determinato. Ci trascina verso i Negrita e non viene male.

Salvatore però continua ogni sera a martellarmi, usciti dalla sala prova: “Ma secondo te scriusciamo a suonare davvivo?” Ed io: “Ma sì Salvato’, vedrai che prima o poi ci riusciamo”. E lui: “Secondo me non ci scriusciamo...” E via così per decine di interazioni, fino al sospirato parcheggio della macchina...

Purtroppo non riusciamo a concretizzare abbastanza e quindi Tommy ci lascia. Trascinerà con se poco dopo anche Salvatore (martella oggi, martella domani...).

Suonavamo ogni settimana in questo posto vicino a Piazza Firenze, lo stesso posto dove qualche tempo dopo avremmo registrato il nostro primo demo, con Paolo alla regia, il fonico senza una falange in grado però di rollare con grande abilità!

Dopo Tommy si entra nell’era moderna di Carletto. Ricordo la “leggera” perplessità che lessi negli occhi di tutti quando Carlo ci disse che si stava diplomando... Ma poi Carlo fu, e il resto è storia.

Fede

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